ALL’INIZIO FU L’EPOCA DELLE PASSIONI GENEROSE, POI ARRIVARONO QUELLE TRISTI
29 Gennaio 2023IL MOSAICO DEL TEMPO.
25 Settembre 2023Il riconoscimento di una incapacità strutturale.
Passa la notizia apparentemente senza reazioni, sia dal mondo della opinione pubblica (vedi i media
nazionali) e tanto meno da parte di dovrebbe fare/avere un programma di opposizione e di sviluppo
futuro. (Per l’opposizione l’idea di futuro “segna il campo”)
Da otto Zone Economiche Speciali, definite in raccordo al programma di sviluppo economico del
Mezzogiorno attraverso la definizione di aree territoriali per le quali erano previste agevolazioni
fiscali, supporti tecnici tecnologici, disponibilità di competenze, di assistenza e di
digitalizzazione degli interventi, si sceglie di definirne una sola che investe l’intero
Mezzogiorno.
L’intervento normativo rilevante e significativo di definizione delle ZES si può fare risalire al
Ministero di Giancarlo Padoan con impegno specifico della Agenzia per il Sostegno dello Sviluppo
Territoriale. (Si vedano solo per esempio, le linee guida per i PON; solo per citare memorie
personali un tempo esplorate. Ancora disponibili in rete). “L’idea” delle ZES poggiava su tre
cardini fondamentali.
Il primo era quello di assemblare un mix interventi di sviluppo territoriale, integrando risorse di
diversa provenienza (pubbliche, private, europee per es…) e carattere: non solo economiche, ma
organizzative di ricerca, di creazione di know-how, di formazione.
La seconda “idea di fondo” era che tale sforzo di integrazione dovesse investire il complesso del
tessuto socioeconomico territoriale e dunque degli aspetti complessivi e variati dello sviluppo
sociale, civile, culturale (Scuola e istruzione comprese, ovviamente), integrando l’azione degli
Enti e dei soggetti responsabili del territorio (dai Comuni alle Provincie, alle Regioni) e dei
soggetti
“produttori e responsabili” dell’organizzazione dei servizi ai cittadini.
Il terzo cardine “funzionale” era che a tale integrazione e coinvolgimento dovesse corrispondere
una sensata, controllata e responsabile attività di “Governo Misto” (Governance per dirla
all’anglosassone) che coordinasse stabilmente le responsabilità, gli interventi, i paradigmi di
qualità comuni degli stessi, e la valutazione (pubblica) degli esiti delle scelte compiute di tutti
i soggetti
coinvolti e diversamente responsabili della politica territoriale.
Fu in sostanza per le ragioni richiamate che mi interessai della questione ZES in particolare
affrontando (come al solito) la problematica della formazione, della istruzione e della scuola nel
Mezzogiorno.
I punti di attenzione più rilevanti mi parvero quelli della possibilità di articolare l’approccio
territoriale con attenzione alle particolarità e le specificità di esso: istruzione, formazione,
territorio e scuola in Basilicata hanno caratteri diversi da quelli della Campania, e ancora più
diversi da quelli della Calabria.
Fondamentale attenzione, quella della definizione di strutture di Governance in grado di assicurare
il “governo misto” delle responsabilità necessariamente plurime nella produzione di servizi alla
economia, alla società, alla cultura.
Non vi è esperienza al mondo in cui la produzione di un “welfare pubblico complesso” non abbia
titolarità plurime (anche nella “nazionale” Francia) e dunque da coordinare e da responsabilizzare
attraverso strutture e pratiche complesse e rigorose.
Non è casuale che nel nostro Paese tale problematica si sia focalizzata proprio con lo sviluppo e
l’evoluzione del welfare (si pensi alla Sanità, ma anche alla organizzazione del sistema di
Istruzione) lungo gli anni 70-90 con lo sviluppo economico che li contraddistinse sia pure con le
ovvie contraddizioni nazionali e internazionali.
Il punto di maggiore debolezza della nostra cultura politica, istituzionale, ma anche del senso
sociale diffuso, è sempre stato, lungo tale contraddittorio percorso, quello della capacità di
individuazione proprio delle strutture e delle pratiche di Governance (governo misto).
Ha sempre invece prevalso una impostazione “appropriativa” ed esclusiva, sia da parte degli
eventuali “Nuovi soggetti Pubblici” creati dal decentramento (si pensi alle Regioni e alla loro
frequente spinta alla appropriazione concorrenziale e esclusiva delle competenze assegnate, quasi a
riprodurre un “centralismo decentrato”), sia e soprattutto da parte dei segmenti relativi della
Pubblica Amministrazione.
Quest’ultima si dimostra sempre più evidentemente incapace di ristrutturare adeguatamente i suoi
paradigmi di funzionamento e di produzione burocratica, subalterni sempre “agli algoritmi” del
“Diritto Amministrativo”. (Una performance nazionale inedita nel confronto internazionale: provate
a spiegare ad un anglosassone cosa sia un TAR…)
Ma è una debolezza anche “culturale” che investe sia il senso comune sociale, sia l’apporto degli
“intellettuali e della organizzazione della cultura” (scusate il richiamo ad un grande Maestro)
alla ricerca ed elaborazione culturale nazionale.
Oggi tali considerazioni critiche sembrano essere avvalorate da una scelta di Governo, che a fronte
di tali contraddizioni sembrerebbe tentare di risolverle negandone le fonti.
Non siamo stati capaci di elaborare sensate strutture di governance? Tagliamo il problema,
facciamone a meno.
Non siamo stati in grado di superare le differenziazioni e disuguaglianze territoriali,
combattendole con scelte politico economiche capaci di interpretarle e superarle individuando
specificità di investimento risolutive? Facciamo una politica unica e nazionale per tutto il Mezzogiorno e con un
solo responsabile (che siede al Governo nazionale).
Si rileva una responsabilità generale di elaborazione e organizzazione della cultura? Si conferma
il silenzio degli intellettuali, della stampa, dei media (vecchi e nuovi) e della opposizione
politica.
Fatte salve alcune osservazioni politiche segnate dalla contingenza, e più preoccupate della
effettiva presenza di competenze a livello Governativo, o che si sbracciano (e qualche cosa di più
in certe
manifestazioni di certi soggetti) per la possibile “sottrazione a sé”.
Ma non mi è dato di individuare alcun approccio critico che per esempio affronti la questione
irrisolta della Governance, anche tenendo conto che tale problematica, presente in tutti i settori
della produzione del welfare è cruciale per il funzionamento generale del Paese, e della produzione
di servizi pubblici, dalla Sanità, alla Scuola e istruzione, alla Previdenza. La politica del corto
respiro e del corto braccio.
A suo tempo mi occupai della problematica ZES e istanze connesse proprio sul versante della
organizzazione del fondamentale servizio pubblico al diritto di cittadinanza costituito dal
funzionamento della scuola, segnato in modo significativo (e istituzionale) dai caratteri della
responsabilità plurima e dunque dalla necessità “oggettiva” ed essenziale della Governance.
Si può trovate una analisi più generale qui nel sito nel capitolo “POLITICHE DELL’ISTRUZIONE” e nell’articolo “SCUOLA E MEZZOGIORNO”